mercoledì 10 luglio 2013

chi crede nella sostanza, come dobbiamo essere noi cristiani, deve scendere nel profondo

Guardate la vita, una pianta, per esempio. Da cosa è sostenuta? Dalle radici. E chi vede le radici? Provate a tagliare le radici alla quercia, che è qui vicino e che ha qualche centinaio di anni. Tagliate le radici, vedrete la loro importanza, perché la pianta cessa di vivere. Allora il cristiano è colui che scende nel silenzio, nell’oscurità, nella profondità, nella vitalità della terra, per trarre dalla terra, cioè dal mondo divino in cui è chiamato a vivere, tutto l’alimento che poi darà le sue fronde, i suoi frutti, il suo tronco vigoroso all’esterno. La nostra posizione di cristiani è di essere alle radici, non nei primi posti. I primi posti spettano a coloro che non riescono a scendere in profondità. Le apparenze spettano a coloro che credono nelle apparenze. Ma chi crede nella sostanza, come dobbiamo essere noi cristiani, deve scendere nel profondo. Se voi guardate il movimento del nostro tempo, che è un movimento importante e glorioso, noterete che Dio sta vigorosamente spogliando tutte le Chiese cristiane delle loro forme esteriori, appariscenti, le sta allontanando dai primi posti per riportarle nel loro giusto posto che è la profondità, il suolo, dal quale devono trarre tutte le linfe vitali affinché l’umanità possa fiorire nella sua vita. Sono parole che ci riempiono di sgomento, perché il nostro corpo si ribella, le nostre ambizioni si oppongono, le nostre sollecitazioni mentali, le nostre definizioni del cristianesimo, come realtà di potenza, diventano incerte e recalcitrano. Ma ci vuole questo coraggio, che ci richiede la nostra morte per poter dare poi la risurrezione a noi e agli altri. Il mistero cristiano in tutti i suoi segni, prima di tutto nel suo segno fondamentale che è Cristo, ci appare come la via della consumazione: io mi devo consumare perché gli altri abbiano vita, io mi devo sprofondare negli ultimi posti perché gli altri siano alimentati da questo mio sprofondamento e da questo mio annientamento. (Giovanni Vannucci, Ogni uomo è una zolla di terra).

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