«Se tornasse san Francesco», il breve saggio di Carlo Bo appena riproposto da Castelvecchi (pagine 64, euro 7,50). Si tratta dell'intervento che nell'aprile del 1982 inaugurò la serie di «Il Nuovo Leopardi», trimestrale diretto da Gastone Mosci e apparso con regolarità fino al 1999 "Nei migliori, nei santi, nella sterminata famiglia di chi soffre e non ha voce si è rifugiata la dura lezione francescana, in tutti gli altri a cui apparteniamo spesso tende a sfumarsi in leggenda. Nel nostro caso, nella leggenda di san Francesco." Sembra un libro profetico se accostato al nostro papa attuale. E adesso che Francesco si è presentato alla nostra porta che cosa faremo?
Cosa faremmo, oggi se Francesco d’Assisi bussasse alla nostra porta?
A partire da questa domanda Carlo s’interroga sul significato del messaggio francescano, o meglio sulla sua inattualità che lo rende più che mai necessario.
In Francesco
– il ricco che si fa povero e che vuole vivere nella propria carne i dolori della vita così come la bellezza del creato, che si affida totalmente alla fede –
Bo vede l’esempio di chi sceglie
di deviare
dalla facile comodità,
dallo stutus quo,
dall’accumulo del possesso e
dalla ribellione sterile.
Il «no» con cui la nostra società
risponde a san Francesco e a Gesù,
continuando tuttavia a venerare le immagini svuotate di significato,
è il segno di una crisi profonda,
ma anche il punto da cui si può ripartire
perché per Carlo Bo
«il Cristianesimo è stato e resta la più bella delle tentazioni,
la più pura idea dell’uomo».
In queste pagine, scritte all’inizio degli anni Ottanta,
la visione di Carlo Bo sul presente si esprime chiara nella sua completezza:
c’è il critico militante, attento nella ricerca del valore della cultura come forza del cambiamento individuale e sociale,
convinto che la letteratura
debba essere «una guida e non un rifugio».
E c’è il credente, il cristiano che si rivolge alla fede
ma, proprio per questo,
avverte chiara la crisi della religione nel confronto con la modernità.
Carlo Bo
È stato un critico letterario italiano. Ha fondato nel 1968 la IULM (Libera Università di Lingue e Comunicazione), che oggi ha sede principale a Milano. Dopo gli studi superiori presso i gesuiti dell’istituto Arecco di Genova, nel 1920 si trasferisce a Firenze dove si laurea nel 1934 in Lettere moderne. Inizia poi la carriera universitaria insegnando Letteratura francese e spagnola alla Facoltà di Magistero dell’Università di Urbino. A Firenze nei primi anni Trenta conosce Giovanni Papini e gli intellettuali della rivista «Frontespizio», alla quale collabora attivamente. Finita la guerra si stabilisce a Milano con Marise Ferro (12905-1991), precedentemente sposata con Guido Piovene. Si sposeranno nel 1963. Dal 1947 al 2001 è rettore dell’Università di Urbino, che è stata poi intitolata al suo nome nel 2003. Nel 1951 fonda la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di milano, che poi aprirà sedi in tutta Italia. Nel 1984 è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica in carica all’epoca, Sandro Petrini. Muore a Genova nel 2001. Tra le sue opere: Saggi di letteratura francese (1940), Mallarmè (1945), L’eredità di Leopardi e altri saggi (1964), Della lettura (1942).
Nessun commento:
Posta un commento