Bisogna stare molto in guardia:
il fanatismo attecchisce con molta facilità, è più contagioso di qualsiasi virus.
Lo si può contrarre persino mentre si cerca di debellarlo o lo si sta combattendo.
Vi basterà leggere il giornale, o guardare il notiziario in televisione, per rendervi conto della facilità con cui la gente diventa fanaticamente antifanatica, antifondamentalista, con cui intraprende una crociata antijihad. In definitiva se non possiamo sconfiggere il fanatismo, possiamo quanto meno pensare di contenerlo. [...]
Una terapia per quanto imperfetta è la capacità di ridere di noi stessi, e anche quella di vederci come ci vedono gli altri è un’altra medicina. La capacità di esistere nel contesto di situazioni aperte, financo di imparare ad approfittare di queste situazioni, di apprezzare la diversità: anche questo può servire.
Non sto invocando un relativismo morale assoluto, certo che no: sto invece propugnando la necessità di immaginarsi a vicenda.
A ogni livello, anche il più banale e quotidiano: immaginarsi.
Immaginarci quando bisticciamo, quando ci lamentiamo, immaginarci nel preciso momento in cui sentiamo di avere ragione al cento per cento. Anche quando si ha ragione al cento per cento, e l’altro ha torto al cento per cento, anche in quel momento è utile immaginare l’altro. [...]
Molti anni fa, quand’ero bambino, la mia saggia nonna mi spiegò in parole semplici, la differenza fra un ebreo e un cristiano:
“Vedi i cristiani credono che il Messia sia già venuto una volta, e che certamente un giorno o l’altro tornerà. Gli ebrei sostengono che il Messia debba ancora venire. Su questa faccenda,” disse mia nonna, “si è spesa tanta rabbia, e ci sono state tante persecuzioni, massacri, odio... perché?” continuò, “Perché non possiamo semplicemente aspettare di vedere? Se il Messia arriva e dice: ‘Salve, è bello rivedervi’, allora gli ebrei ammetteranno di avere sbagliato. Se, d’altro canto, il Messia arrivando dice: ‘Piacere di conoscervi’, allora tutto il mondo cristiano dovrà chiedere scusa agli ebrei. Per intanto,” concluse la mia saggia nonna, “non resta che vivere e lasciar vivere”. Lei sì, era drasticamente immune dal fanatismo. Conosceva il segreto del vivere in situazioni aperte, entro conflitti non risolti, insieme alla diversità degli altri.
(Amos Oz, Contro il fanatismo).
L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento