Mi prende tristezza da morire al pensiero che una bambina di nove anni già porti questo peso sul cuore. Forse dovremmo sentirci più responsabili delle immagini che diamo della Chiesa.
Per non pesare sul volto di Gesù.
Per non pesare sul cuore dei piccoli.
E non solo dei piccoli, ma anche dei meno piccoli.
Parole usate come clave, volti induriti e inflessibili, toni definitori e arroganti, lo sguardo che ti giudica.
“Sei sotto l’occhio, come quando vai in una banca...”, mi diceva oggi una ragazza al telefono.
Sono atteggiamenti che tradiscono il volto di Gesù, fanno crescere nel cuore il peso dell’esclusione. È proprio così inutile chiederci di tanto in tanto:
queste parole, questi gesti, queste decisioni, questi toni quale immagine di Dio e quale immagine di Chiesa evocano in chi silenziosamente, spesso dalla sua distanza, interroga i segni? Immagini di accoglienza o immagini di esclusione?
Segni di Dio o dell’antidio?
Ognuno di noi, penso, ha occhi, intelligenza e sapienza dello Spirito per interrogarsi su quanto purtroppo in questi giorni sta avvenendo.
Per interrogarsi e per trarre qualche conclusione.
Darò ancora una volta prova della mia ingenuità:
come arrivare a esprimere disagio per l’immagine della non accoglienza?
E se cominciassimo a raccontare le storie che viviamo, quelle che soffriamo sulla pelle? Anche ai Vescovi, alle Congregazioni romane?
Raccontare la storia, semplicemente la storia della bambina di nove anni dal nome bellissimo.
E, ancora, se forti della convinzione che, la Chiesa, gli uomini e le donne del nostro tempo la intravedono anche in noi, testimoniassimo, a tutti il livelli, l’accoglienza – “Tu ... l’accetti?” – e non l’esclusione?
Se testimoniassimo l’immagine di una Chiesa non pietra d’inciampo, ma compagna di viaggio – e quale! – nella carovana dell’umanità?
Forse gli occhi della bambina sarebbero meno tristi, sul cuore le peserebbe meno dolore.
Forse sorriderebbero anche gli occhi di Gesù. (Angelo Casati, La fede sottovoce)
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