mercoledì 6 novembre 2013

il Signore gli diede la sua risposta: “non ci doveva essere proprietà alcuna né personale né comunitaria”

Prima di continuare la narrazione della vita di Francesco, interrotta il 18 ottobre mi sembra bello riflettere su un testo pubblicato in questi giorni dall'Osservatore Romano sulla pluralità di significati della povertà in San Francesco.

Senza appropriarsi
 di nulla
Carmine Di Sante

A fondamento della sua fraternità Francesco pone il sine proprio e il nihil sibi appropriare: «Ammetteva all’Ordine solo chi aveva rinunciato alla proprietà e non aveva tenuto assolutamente nulla per sé. Così faceva, in omaggio alla parola del Vangelo» (Fonti francescane, 1121).

In questo radicalismo egli fu duramente contestato da molti dei seguaci ancora in vita, come narra la Leggenda perugina o Compilazione di Assisi: «I frati ministri cercavano di convincere Francesco a permettere che si possedesse qualcosa, almeno comunitariamente, in maniera che un numero così grande di religiosi avesse una riserva cui attingere. Raccoltosi in preghiera, il santo chiamò Cristo e lo consultò su questo punto. E immediatamente il Signore gli diede la sua risposta: “non ci doveva essere proprietà alcuna né personale né comunitaria”. Questa era la sua famiglia, disse, alla quale lui avrebbe immancabilmente provveduto per quanto numerosa fosse, e sempre avrebbe avuto cura di essa finché la fraternità avesse nutrito fiducia in Lui» (Fonti francescane, 1671). L’episodio viene ripreso una seconda volta dalla stessa Leggenda perugina con particolari più circostanziati e drammatici: «Dimorava Francesco sopra un monte assieme a frate Leone d’Assisi e Bonizo da Bologna per comporre la Regola, giacché era andato smarrito il testo della prima, dettatogli da Cristo. Numerosi ministri si recarono da frate Elia, vicario di Francesco, e gli dissero: “Abbiamo sentito che questo fratello Francesco sta facendo una nuova Regola, e temiamo la renda così dura da riuscire inosservabile. Noi vogliamo che tu vada da lui e gli riferisca che ci rifiutiamo di assoggettarci a tale Regola. Se la scriva per sé, e non per noi”. Frate Elia osservò che non aveva coraggio di andarci, per paura dei rimproveri di Francesco. Ma siccome quelli insistevano, ribatté che non intendeva recarsi là senza di loro. Così partirono tutti insieme. Quando frate Elia, accompagnato dai ministri fu giunto a Fonte Colombo, chiamò il santo. Francesco uscì e vedendo i ministri chiese: “Cosa vogliono questi fratelli?" Rispose Elia: “Sono dei ministri. Venuti a sapere che stai facendo una nuova Regola e temendo sia troppo aspra, dicono e protestano che non intendono esservi obbligati. Scrivila per te, e non per loro”. Francesco levò la faccia al cielo e parlò a Cristo: “Signore, non lo dicevo che non ti avrebbero creduto?”. E subito si udì nell’aria la voce di Cristo: “Francesco, nulla di tuo è nella Regola, ma ogni prescrizione che vi si contiene è mia. E voglio sia osservata alla lettera, alla lettera, alla lettera! Senza commenti, senza commenti, senza commenti”. Aggiunse: “So ben io quanto può la debolezza umana, e quanto può la mia grazia. Quelli dunque che non vogliono osservare la Regola, escano dall’Ordine!”. Si volse allora Francesco a quei frati e disse: “Avete sentito? avete sentito? Volete che ve lo faccia ripetere?”. E così i ministri se ne tornarono scornati e riconoscendosi in colpa» (Fonti francescane, 1672).

Osservatore Romano, 2-3 novembre 2013

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