L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
domenica 3 novembre 2013
l’impossibilità, per l’io, di dire «mio» su ciò che esiste.
Prima di continuare la narrazione della vita di Francesco, interrotta il 18 ottobre mi sembra bello riflettere su un testo pubblicato in questi giorni dall'Osservatore Romano sulla pluralità di significati della povertà in San Francesco.
Senza appropriarsi
di nulla
Carmine Di Sante
Qualificata come «santa» e come «altissima», enfatizzata con il riferimento alla «profondità» o «altezza» (celsitudo) e chiamata «ora sposa, ora sorella, ora madre, ora signora, ora regina» (Fonti francescane, 2073), la povertà si riveste di una pluralità di significati a seconda dei testi e dei contesti. Francesco, però, ricorre a questo termine per dire soprattutto come i frati devono comportarsi imitando Gesù: «senza appropriarsi di nulla».
Povertà, per Francesco, è l’impossibilità dell’appropriazione, l’impossibilità, per l’io, di dire «mio» su ciò che esiste.
C’è un episodio divertente ma illuminante, riportato nella Compilazione di Assisi (o Leggenda perugina), che mostra l’avversione di Francesco alla «miità», a dire «mio» e a tollerare che qualcuno dicesse «mio». Un giorno chiese a un suo compagno: «Donde vieni, fratello?». Alla risposta del frate: «Vengo dalla tua cella», Francesco reagii con durezza: «Poiché hai detto che è mia, d’ora innanzi ci abiterà un altro, e non io». Al che gli autori anonimi della Leggenda commentano: «Noi che siamo stati con lui, lo abbiamo udito dire a più riprese quella parola del Vangelo: “Le volpi hanno la tana e gli uccelli del cielo il nido, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. E seguitava: “Il Signore, quando stava in disparte a pregare e digiunò quaranta giorni e quaranta notti, non si fece apprestare una cella o una casa, ma si riparò sotto le rocce della montagna”. Così, sull’esempio del Signore, non volle avere in questo mondo né casa né cella, e neanche voleva gli fossero edificate. Anzi, se gli sfuggiva la raccomandazione: “Preparatemi questa cella così”, dopo non ci voleva dimorare, in ossequio alla parola del Vangelo: “Non vi preoccupate”» (Fonti francescane, 1581).
Osservatore Romano, 2-3 novembre 2013
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