lunedì 6 maggio 2013

ci esorta a scendere nella nostra tomba, nel profondo di noi stessi, per essere un tutt’uno con il fondo del nostro essere, con le radici della nostra vita.

UN SEPOLCRO PER GUARIRE di Anselm Grun

Anselm Grun è monaco benedettino e psicoterapeuta di formazione Junghiana. Il testo è tratto da: “L’anno liturgico come terapia” (Edizioni Paoline 2007)

Il rito fa scattare qualcosa nel nostro intimo; per dirla con Jung convoglia l’energia vitale nella giusta direzione, cosicché improvvisamente siamo capaci di quanto razionalmente avevamo riconosciuto come un passo necessario della realizzazione del Sé:
lasciarci andare, abbandonarci al Padre per essere nuovamente creati da lui.
Anche il Sabato santo ha una funzione importante sulla via dell ’interezza.
La liturgia prevede che meditiamo per tutto il giorno su Cristo morto nel sepolcro.
E ci esorta a scendere nella nostra tomba, nel profondo di noi stessi, per essere un tutt’uno con il fondo del nostro essere, con le radici della nostra vita.
Cristo non è soltanto morto della nostra morte,
è rimasto effettivamente morto per tre giorni.
Non poteva fare più niente, non sentiva più niente, era esanime, isolato da ogni comunicazione.
Nel sepolcro Cristo ha sperimentato la morte come solitudine radicale, nella quale nessuna parola d’amore può più penetrare.
Il Sabato santo ci vuole dire che nella nostra solitudine, nel nostro freddo, nella nostra rigidità è entrato Cristo.
E là dove altrimenti regna la morte, là vive ora il suo amore. Là dove siamo isolati dalla vita, là ci raggiunge con la sua parola d’ amore.

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