L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
giovedì 9 maggio 2013
Anche noi spesso giacciamo nel sepolcro della nostra autocommiserazione, della nostra rassegnazione, del nostro orgoglio
UN SEPOLCRO PER GUARIRE di Anselm Grun
Anselm Grun è monaco benedettino e psicoterapeuta di formazione Junghiana. Il testo è tratto da: “L’anno liturgico come terapia” (Edizioni Paoline 2007)
Cristo giace nel sepolcro.
Anche questo è un simbolo della nostra vita.
Anche noi spesso giacciamo nel sepolcro della nostra autocommiserazione, della nostra rassegnazione, del nostro orgoglio.
Ci compatiamo perché tutto è così difficile, perché va tutto così male, perché non sappiamo prendere le distanze da noi stessi e cambiare. E così rimaniamo nella nostra tomba.
Ciò che ci trattiene sono spesso le nostre attese esagerate nei confronti della vita, il nostro perfezionismo e la nostra paura della sconfitta, di «fare brutta figura ».
Siccome non vogliamo perdere, non combattiamo neppure.
Siccome non vogliamo fare brutta figura, non ci avviciniamo all’altro, non apriamo bocca quando siamo in mezzo a più persone.
Siccome abbiamo paura che le nostre attese rimangano deluse, preferiamo restarcene nella nostra tomba.
Il Sabato santo dovremmo prendere coscienza di questa situazione e affrontare la nostra paura con la fede nella risurrezione.
Credere nella risurrezione significa alzarci dalle nostre debolezze, nel mezzo di esse, senza timore che alzandoci la debolezza ci resti addosso e gli altri la vedano.
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