Solo. Sempre più solo. Tutte le cose
mi circondano, ma non mi toccano
affatto. Guardo e respiro. Sono e non
sono. Non c’è più posto per me
nell’ordine delle cose. Tutto mi è
estraneo. Perché non c’è nessun Dio?
Perché vertici di angoscia e abissi
di abbandono non diventano sicuri
messaggi? Nessuno ascolta la mia voce
interiore. Solo. Se ci fosse un Dio,
visiterebbe, credo, la mia solitudine.
Cahiers, cioè i “quaderni” di note spesso autobiografiche del poeta francese Paul Valéry (1891-1945)
Giorgio Caproni (1912-1990), aveva raffigurato in modo lapidario quella scena che si ripete anche spesso nei palazzi delle nostre città:
“Un uomo solo.
Chiuso nella sua stanza.
Con tutte le sue ragioni.
Tutti i suoi torti.
Solo in una stanza vuota,
a parlare.
Ai morti”
(Condizione).
Quel Dio, che Valéry sospetta che non esista o che comunque se ne stia impassibile nel suo cielo dorato, è pronto a venire accanto a queste sue creature infelici.
Bisogna coglierne il passo silenzioso e la voce misteriosa.
Come fa il Salmista che canta: “I passi del mio vagare tu li hai numerati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse registrate nel tuo libro? (Salmo 56,9).
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