Un semplice testo dell’Esodo (22,26) ci chiama a una scelta assai concreta; ci ricorda che dobbiamo preoccuparci di dove dormirà chi si è spogliato del mantello.
È il nostro caso?
Ci angoscia sapere con che cosa si copriranno e dove trascorreranno la notte i poveri del nostro paese? Chissà che quanto avviene nel profondo e nell’intimità della casa non esprima meglio di molti altri indizi le profonde differenze esistenti tra noi.
Dormiranno sotto un tetto? Per terra, su una stuoia o in un letto? In uno, due, cinque o sei per stanza?
In un’abitazione da cui presto saranno cacciati? [...]
Le sfide che vengono da situazioni umane concrete ci portano alle fonti della vita cristiana, dove le distinzioni fra nozioni o elaborazioni teologiche non scompaiono – come vorrebbe un pedante antiintellettualismo – ma acquistano, questo sì, vita e significato.
Preoccuparsi di dove dormiranno i poveri ci mostrerà come in effetti non sia possibile separare l’amore per Dio e l’amore per il prossimo, cosa significhi vivere i due aspetti intrecciati l’uno con l’altro.
Vivere le cose alla radice ci aiuterà a comprendere come l’unità della nostra vita non consista in una bella ed equilibrata formulazione di nozioni, ma nel metterci in cammino per realizzare l’amore per Dio e per il prossimo in uno stesso atto.
Questo soltanto ci condurrà alla vita;
itinerario costoso ma pieno di speranza, in cui diveniamo via via compassionevoli quanto il Dio della nostra fede.
Compassionevoli: significa capaci di “sentire con” Dio e con gli altri; sentire, non soltanto pensare; andare alle radici cercando l’unità come qualcosa di nuovo e di creativo, non come una sintesi ben equilibrata. (Gustavo Gutiérrez, Il Dio della vita)
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