Gli
Apostoli hanno dunque mancato di fede teologale, perché hanno voluto
che Cristo intervenisse a salvarli, quando a loro sembrava opportuno.
Dicendo: “Salvaci, Signore,
siamo perduti!” (Mt 8,25), essi hanno sentenziato che è
finita. Cristo dimostrerà loro che Dio sta sempre al di là dei
nostri pensieri, e che non c’è alcun male che possiamo sentenziare
come definitivo, perché Lui, se vuole, può cambiare tutto in un
istante; se non vuole, vuol dire che deve andare così. La fede
teologale è quindi incompatibile con l’applicazione a Dio dei
nostri tempi e delle nostre aspettative. E ancora: gli Apostoli hanno
mancato di fede teologale, perché hanno preteso di insegnare al
Maestro, mettendo perfino in dubbio il suo amore per loro: “Non
ti importa che moriamo?” (Mc 4,38). Il nostro atteggiamento,
spesso, è proprio questo. Nel momento in cui le cose cominciano a
prendere una piega inaspettata e sgradita, il primo pensiero è un
pensiero di sfiducia, e quindi contro la fede teologale.
In queste poche battute che gli Apostoli pronunciano sulla barca,
accumulano una serie di peccati contro Dio, per i quali certamente
non potevano essere lodati da Cristo. Proprio perché la fede
teologale è ancora assente dal loro cuore - come evidenziano i
vangeli di Marco e di Luca -, sono presenti, per compenso, altre
radici maligne: la tendenza a giudicare Dio, la volontà che Egli
intervenga quando sembra opportuno al buon senso umano, la sfiducia e
il dubbio nei confronti del suo amore. Al contrario, il centurione
romano diventa la tipologia della fede teologale, capace di
attendersi dal Messia un’azione salvifica, ma senza pretendere di
determinarne il tempo e senza verificare di persona la sua
attuazione, ma fidandosi solo della sua Parola. Don Vincenzo Cuffaro
Nessun commento:
Posta un commento