L'impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. (Don Primo Mazzolari) fissare a memoria le parole di Paolo: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1).
martedì 5 giugno 2012
la povertà è l’unica vera ricchezza: realtà condizionante la possibilità della Verità di Dio in me
Il problema della povertà nel mondo è problema di fraternità, di amore. E’ una realtà dolorosa, non fine a se stessa e nemmeno condanna o castigo, ma condizione, motivo di nascita per un'altra realtà d'infinito valore, quale l'amore fraterno, e quindi ricerca del Padre comune, e quindi visione teologica di rapporti e consacrazione d'esistenza a destini universali, eterni, divini.
Ancora non abbiamo scoperto e accettato la predicazione di Gesù Cristo circa la povertà,come del resto nemmeno quella riguardo al dolore e alla morte. Non crediamo ancora alla violenza divina di questo messaggio cristiano che interviene in tutto il dramma umano per soluzioni di valore infinito. La redenzione deve operarsi nella realtà umana — quella vera, autentica, concreta, scoperta, non camuffata o contraffatta dalle illusioni — per farne realtà divina, meritevole di destino eterno e infinito. E il dolore è redento in Amore, la morte è vinta dalla risurrezione, la vita terrena è già vita eterna, povero corpo tempio di Spirito Santo, povera anima abitazione della infinita Trinità e dentro ciascuno di noi —e in tutta la storia dell'umanità — palpita il destino stesso di Dio e è incarnato il Mistero di Dio fatto Uomo...
Ancora non credo e non accetto che la povertà è l’unica vera ricchezza: realtà condizionante la possibilità della Verità di Dio in me. Valore autentico determinante la misura assolutamente indispensabile della libertà dalle cose terrene per quelle del cielo, dalle cose umane per quelle di Dio.
Non crediamo al valore della povertà materiale. La accettiamo però per gli altri e non ce ne facciamo un'angoscia.
Disprezziamo e detestiamo la povertà d'essere nulla o poco e mettiamo allegramente gli altri sotto i piedi.
Tiriamo avanti facendoci largo a gomitate nello stomaco degli altri e gridiamo all'ingiustizia di questo mondaccio.
Pretendiamo rispetto, considerazione, successo, gratitudine e servilismo e seminiamo a piene mani risentimenti, vendiamo odio per guadagno, costringiamo al male per interesse...
Si potrebbe continuare chissà quanto a raccontare del nostro disamore alla povertà, concludente sempre in tanta orribile ingiustizia.
Abbiamo scritto per due anni di questi problemi. Ce ne vergogniamo sinceramente ogni volta, perchè ne siamo spaventosamente indegni. Ma ci sentiamo incoraggiati a continuare, perchè continuare a scrivere di povertà, di giustizia, di fraternità vuol dire soffrire l'angoscia di una spaventosa incapacità nostra e di tutti e vuol dire lasciarsi logorare l'anima e il cuore dal desiderio, che ogni giorno brucia di più, di un po' di Verità, di Libertà, di Amore.
La Redazione della Voce dei poveri 1962
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