lunedì 9 gennaio 2012

vivere, ne valeva la pena


Dopo aver letto la recensione su Luisito Bianchi mi è venuto voglia di conoscerlo. Sembra che più che un racconto, la narrazione finisca con il diventare il recupero della propria trascorsa esistenza, nell’avvicendarsi di stagioni astronomiche che  si confondono con quelle della vita, una sinfonia di suoni, di voci, di visioni e di aromi che piano piano avvolge il lettore, fino a penetrargli dentro, a coinvolgerlo, sì che da semplice spettatore ambisce a essere protagonista di una storia irripetibile. La memoria di Luisito diventa anche la nostra memoria, perché Vescovato diviene il nostro paese in cui avremmo desiderato di essere nati, per vivere con lui, con l’autore, le esperienze di una giovinezza ricca per l’animo e ritrovare quelle radici che il tempo che passa, convulso e orfano della nostra attenzione, sembra aver reciso.

Gli irripetibili istanti del cerchio della vita
“Come il puntino che salda il cerchio della vita con le sue quattro stagioni, sempre più piccolo man mano che il cerchio si perfeziona fino a diventarne un tutt’uno con esso. Càpita quindi di indicare un qualsiasi punto del cerchio e dire con sicurezza: è questo il punto che salda tutto, e sono infiniti i punti dato che il cerchio è perfetto. Come il respiro, il battito del cuore e delle ciglia in questo preciso momento in cui scrivo salda tutti quelli che ci sono stati con quelli che verranno.
Per dirvi, cari, che, nella perfezione del cerchio che è la vita di ogni uomo, ogni momento è importante quanto il tutto, e che questo sentimento lo si prova nella sua profonda verità quando i ricordi di stagioni lontane diventano memoria, proprio come queste pagine di ricordi sono diventate in me memoria. E la memoria è il puntino impercettibile che salda il cerchio della vita e mi fa dire, come succo di queste storie di vecchio lunario: vivere, ne valeva la pena.
28 novembre 1984 – 8 agosto 1985 - Le quattro stagioni di un vecchio lunario
di Luisito BianchiSironi Editore
«Amo questa Chiesa perché è lei che mi ha trasmesso Cristo. Ed è nella Chiesa che ho sentito
parlare di un Dio che sceglie di perdere ogni potere, preferendo la povertà. Di fronte a certi
atteggiamenti della Chiesa mi viene da chiedermi: è possibile che si cerchi il potere per affermare la
parola di colui che ha rifiutato il potere?».
Uno dei concetti su cui insisteva maggiormente era quello della "gratuità". Nel 1968 si chiedeva:
«Come posso restare coerente nell'annunciare la gratuità del Vangelo, se in cambio, proprio per la
mia funzione di prete, ricevo del denaro?». È da questa riflessione che scaturì in lui la decisione di
diventare operaio. 
Don Luisito Bianchi, prete e scrittore operaio, morto il 5 gennaio 2011.
Con la scomparsa di don Luisito Bianchi, avvenuta il 5 gennaio, abbiamo perso non solo uno
scrittore, uno dei più originali degli ultimi decenni, ma anche il testimone scomodo di un
radicalismo evangelico profetico e mai accomodante. Nella sua vita Luisito Bianchi ha fatto
l'insegnante, il traduttore, l'operaio, il benzinaio, l'inserviente in ospedale. Nato a Vescovato, in
provincia di Cremona, nel 1927, sacerdote cattolico dal 1950, il grande pubblico l'ha conosciuto a partire dal 2003, quando Sironi editore ripubblicò La messa dell'uomo disarmato, un ampio,
suggestivo romanzo sulla Resistenza, uscito per la prima volta nel 1989 in un'edizione autoprodotta. Di quel periodo, l'autore non offriva soltanto una lettura storiografica. C'era una dimensione filosofica e religiosa (una religione civile, oltre che trascendente) che faceva della Resistenza una categoria quasi esistenziale.
Ha pubblicato: Salariati (1968), Gratuità tra cronaca e storia (1982), Dittico vescovatino (2001),Simon mago (2002), Dialogo sulla gratuità (2004) e Monologo partigiano (2004). Con Sironi ha pubblicato Come un atomo sulla bilancia (2005), I miei amici-Diari(2008) e La messa dell’uomo disarmato (2002), il suo grande romanzo sulla Resistenza, elogiato da critica e pubblico.


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