Signore, insegnami a dormire
di
Alessandro Pronzato, I vangeli scomodi, 389-392
(Mc 14, 32-41).
Strano. Non ho mai sentito una predica
sul sonno. È una grave lacuna nella mia formazione.
Signore, lasciami dormire. Devo
dormire. Non svegliarmi. È bene che io dorma.
La mia salvezza, ormai, è legata al
sonno.
Difficilmente i «maestri di spirito»
approverebbero ciò. Ma Tu, che non sei obbligato a leggere i loro
trattati, comprendi. E, spero, esaudirai la mia richiesta.
Le Tue vie, si dice, sono infinite. E
perché una di queste strade, quella che arriva fino a me, non
potrebbe essere appunto la via del sonno?
Signore, insegnami a dormire.
Non pretendere la preghiera. Lo sai che
lì non cavi più nulla da me. Moltiplico le parole, chiacchiero per
tapparTi la bocca, per non lasciarTi parlare. E Tu devi rinfoderare i
Tuoi progetti, perché non li voglio ascoltare. Ho paura.
Ti resta una possibilità, nei miei
riguardi. Il sonno.
Si legge, nella storia, di città
costrette a capitolare, dopo interminabili assedi, perché i loro
abitanti venivano presi «per fame» o «per sete».
Tu, Signore, devi prendermi «per
sonno».
Di giorno, sto all’erta. Ho imparato
a difendermi da Te. So come ci si difende dal Tuo Vangelo,
specialmente dalle pagine più scomode. Con le armi del buonsenso e
della cultura riesco a neutralizzare i Tuoi paradossi. E se qualche
Tuo colpo arriva fino a me, trovo il modo di renderlo innocuo,
inserendolo in un casellario appositamente approntato, dove tutto
viene sistemato, ogni cosa al proprio posto, ogni idea in ordine,
nulla deve darmi fastidio.
Di notte, invece, sono costretto ad
abbandonare la difesa. A smantellare i bastioni della
«ragionevolezza».
È quello il Tuo momento, Signore!
Approfittane.
Prendi in mano le briglie che di giorno
ho preteso stoltamente di tenere strette tra le mie dita.
Suggeriscimi le cose giuste.
Dimmi ciò che devo fare.
Ricostruiscimi, mentre dormo.
Sono come una macchina che ha bisogno
di una «ripassata» generale. Pensa Tu a rimettere tutto in
efficienza: orecchie, lingua, cervello, occhi, cuore soprattutto.
Rifammi, Signore, durante la notte.
Perché io non so far altro che accumulare guasti.
Al mattino, svegliandomi, troverò uno
splendido regalo: un me stesso nuovo, in edizione rifatta e,
naturalmente, migliorata.
Qualcuno ha scritto: «Il sonno è
l’astuzia di Dio per dare all’uomo l’aiuto che non può far
passare in lui mentre è sveglio». Spero proprio che la Tua astuzia
«notturna» prevalga sulla mia stoltezza «diurna».
Quando sono sveglio difendo con le
unghie un taccuino dove è segnata tutta la mia «saggezza».
Contiene la mia scala di valori, la mia «problematica»
aggrovigliata, i miei programmi - ahimé! - di santità.
Di notte sono costretto a mollarlo.
Signore, raccattalo Tu. Non ridere. Compatiscimi. Correggi gli
svarioni, cancella le idiozie, elimina gli spropositi. Scrivi Tu ciò
che è bene.
Trascorro un terzo della mia vita a
dormire. Otto ore di sonno su ventiquattro della giornata. È quello
il tempo «opportuno», Signore. Per insegnarmi a vivere nei restanti
due terzi.
Non dirò come quella signora inglese
che, nell’ultima guerra, se ne restava tranquillamente a letto
durante l’infuriare dei bombardamenti: «Ho pensato che Dio non
dorme: non vi era dunque nessuna ragione che stessimo svegli tutti e
due». Nel mio caso, dovrei dire: guai se stessimo svegli tutti e
due. Io impedirei il Tuo lavoro. Combinerei guai, come faccio durante
la giornata.
Un proverbio idiota (che ho imparato a
odiare, negli anni del seminario, allorché la sveglia suonava alle
cinque e trenta del mattino) afferma: «Chi dorme non piglia pesci».
Sia chiaro che io non ho nessuna voglia di pigliar pesci. In
compenso, quando dormo, Tu, Signore, puoi pigliare me.
Ripeto, è l’ultima occasione che Ti
resta.
Non lasciartela sfuggire, per carità.
Leggo nella Scrittura:
Invano vi alzate avanti giorno
e ritardate il riposo, mangiando il
pane
del dolore,
poiché Dio dà a coloro che ama
il sonno. (Sal 127,2)
Signore, se mi ami, dammi il sonno.
Lasciami dormire.
Insegnami a dormire.
E Tu lavora, finalmente, in pace.
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